Da bambino mi sentivo protetto quando stavo dentro le coperte, soprattutto quando mi infilavo proprio sotto di esse con le mie macchinine, i miei pupazzetti a forma di animali della fattoria, le mie biglie colorate… la mia fantasia. Ricordo che sentivo le mie paure volteggiare dentro la stanza, percepivo i loro artigli mentre sfioravano le pareti e la parte esterna delle coperte sotto le quali ero rifugiato. Sapevo di essere avvolto da una bolla indistruttibile: qualsiasi mostro portato dalla caotica notte della mia immaginazione doveva soccombere di fronte al piumone che cingeva il letto con le sue alte mura. Quella lì era la mia grotta ed era anche la barchetta azzurra che mi aiutava a raggiungere il sonno in un arco di tempo che aveva il gusto dell’infinito. “Dormi amore mio” – mi diceva mia madre baciandomi la fronte o la guancia prima di andare via. Lei lasciava sempre la porta socchiusa ed una lucina accesa nel corridoio. Mi manca quel tempo, mi manca me stesso sotto quelle coperte, mi manca quell’innocenza, mi manca quella grotta, mi manca il modo con cui percepivo il suono del silenzio che, lo ricordo bene, a volte era davvero assordante. E poi, in tutta onestà, mi manca qualcosa che ho perduto e che non ho mai potuto avere, vivere, sperimentare, provare, assaporare: mi manca quel padre che sarebbe dovuto starmi accanto, che avrebbe dovuto ascoltarmi, parlarmi, capirmi; un padre che mi facesse volare e abbracciare il mondo prendendomi in braccio o tenendomi per mano. Non ricordo la sua mano! Non ricordo il suo bacio della buonanotte. Quanto tempo sprechiamo della nostra vita appresso rabbia, rancore, odio e, così, quante cose ci perdiamo, quanti istanti lasciamo marcire o svanire nella eco di un ego che non vuol sentire nessuna delle ragioni del cuore. Ciò che ho imparato uscendo da sotto quelle morbide e calde coperte per affrontare la vita è che la mia rabbia ha sempre avuto un nome e che oggi, grazie alla mia parte bambina che mi ha tenuto in vita il cuore, io sono ciò che di meglio ho potuto fare superando da solo ostacoli, crescendo prima di quando fosse necessario, combattendo battaglie che non mi sarebbero dovute appartenere. Le mie prove le ho superate sgomitando, sanguinando, lacerandomi dentro e fuori, perdendo pezzi. Ho fatto kintsugi così tante volte che il vaso della mia anima sembra quasi tutto ricoperto d’oro. La sofferenza è maestra laddove impariamo a non accontentarci, laddove sappiamo riconoscere il bene dal male: le scelte che facciamo ed il modo con cui le attiviamo decidono ciò che siamo. Conservo ancora alcune biglie colorate e un giorno le darò a mia figlia, accarezzandole il viso, baciandole la fronte; esse potranno essere gli amuleti che scacceranno le sue piccole paure. Le dirò – “Dormi amore mio” – e sarò sempre pronto a vegliare sui suoi sogni, proteggendola fino alla fine dei miei giorni. Lei avrà presto la sua coperta, vivrà presto le sue avventure sotto quel piumone, percepirà i suoi mostri. Sarò in grado di insegnarle la magia della vita? Questa è l’unica cosa che vorrei riuscire a fare. Non potrò difenderla da tutte le brutture di questo mondo ma mi auguro di lasciarle di me un dolce ricordo.
Dormi amore mio
Scritto e pubblicato il
da Marco Placido Stissi (alias “
“)
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