Questo pianeta è pieno di persone alle quali è stato strappato via il volto da parole implacabili, da qualche ingiustizia sociale o da degli amori cannibali. Anime svuotate della propria essenza, private dei propri sogni, lasciate in balia di speranze in acque agitate e senza fondo. Sono esseri umani che indossano maschere per coprire il proprio disastro, per nascondere il vuoto e le ferite. Quando tornano a casa, sfilano via l’apparenza e si perdono puntando il cielo notturno; le stelle si riversano dentro il loro pozzo interiore e lì si spengono affondando fra le sabbie mobili di una sofferenza anch’essa senza volto e anche senza nome. Sono quelle le persone che potrebbero cambiare le sorti del mondo, sono quelli gli eroi che attendono di essere riconosciuti; sono creature inquiete che non trovano la forza ed il coraggio di ricucire il proprio volto e che frenano la propria rabbia costruttiva per paura del giudizio, per paura di fallire, per paura di vedersi strappare via un’altra volta la propria identità. Li riconosci dal passo incerto, dal fatto che osservano cose all’apparenza senza importanza e dalla voce flebile e timorosa. Alcuni di essi hanno un diario sul quale tracciano scarabocchi o grandi opere d’arte, parole ermetiche o lunghi racconti fin troppo espliciti. Quanto mi piacciono le persone senza volto! Fino a qualche anno fa anche io avevo il volto sfondato, disintegrato da missili che mai avrei immaginato di ricevere. Fino a poco tempo fa ero seduto in un angolo buio della mia vita ma ero riuscito a tenere saldamente per mano la mia rabbia e la mia parte bambina; mi hanno aiutato a non sgretolarmi, a non diventare un’ombra che si dissolve nell’indefinito. Un bel giorno ho dato un pugno allo stomaco della mia paura e l’ho lasciata a sputare sangue e agonizzante in quell’angolo maledetto. “Ma chi me lo fa fare a piangermi addosso?”, mi dissi. Compresi che posso essere ciò che sono destinato ad essere anche senza un volto, anche senza un corpo, anche senza un nome; così mi avvicinai allo specchio e lo oltrepassai per andare a recuperare tutti i miei pezzi mancanti. Ho fatto kintsugi su me stesso, mi sono impreziosito, ho spolverato le mie emozioni e le ho lasciate libere di fluire; ho rispettato i miei tempi e i miei desideri. Ho ripreso a sognare e l’ho fatto con più vigore, con più passione. Pian piano ho amato ancora e ad ogni nuova sconfitta ho ripreso il cammino più forte di prima; avrò percorso miliardi e miliardi di anni luce fino ai più remoti confini dell’universo senza mai guardare indietro. Da così lontano, quando mi fermo a pensare a qualcuno che non ha un volto, so che qualcosa ci lega, so che quel entanglement quantistico emozionale che ci rende parte di un’entità unica ed inscindibile è qualcosa di vero e affascinante. Questo pianeta è fatto di tante persone senza volto che si truccano per non farsi risucchiare dai buchi neri di chi non sa gestire il proprio vuoto interiore ma si lamentano perché spesso attraggono a sé anime a loro poco affini. Un continuo riciclo di sentimenti che si accendono e si spengono nell’incessante ripetizione del tempo a loro concesso in una sinfonia che spreca le note per suonare musiche prive di armonia. Vorrei che questi eroi, che tengono il capo chino verso il basso mentre percorrono il sentiero che li condurrà alla fine del proprio racconto, possano svegliarsi da quel torpore, possano recuperare se stessi dalle fogne in cui hanno scelto di alloggiare per sublimare in una luce così forte da illuminare ogni angolo delle proprie paure e vederle svanire. Non abbiate paura di ricucirvi il volto e mostrarvi per ciò che siete veramente. Il prossimo colpo in faccia non vi sbriciolerà più il viso, il prossimo colpo vi farà sorridere e vi aprirà le porte a tutto ciò che meritate. Sognate, miei splendidi faceless, sognate ancora e puntate fiduciosi verso nuovi orizzonti.
Faceless
Scritto e pubblicato il
da Marco Placido Stissi (alias “
“)
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