Non tutti siamo diventati ciò che sognavamo da bambini, e così ci sono calciatori che sono finiti a consegnare pizze facendo slalom nel traffico di una città, e ci sono archeologi piegati su di una scrivania a cercare file nel computer di un negozio di ferramenta, e ci sono ballerine vestite con la divisa intente a pulire la hall di un albergo.
Non c’è nulla di male, certo, ma quelle persone sono sogni trasformati in sassi, sono sogni che hanno perso le ali e pure le gambe, e le braccia, e gli occhi e, forse, anche un grosso pezzo di cuore.
Crescendo siamo stati immersi nella zuppa della realtà e siamo stati bombardati da parole, parole e ancora solo parole che si sono susseguite, che sono diventate tzunami, che ci hanno investiti lasciandoci inermi a osservare la vita verso una quarta parete sterile. Ci siamo spenti e siamo assuefatti ad essere ciò che non vorremmo mai essere. Ci siamo adattati, ci stiamo accontentando.
Assomigliamo tanto a delle bozze conservate in un archivio pieno zeppo di revisioni senza titolo; non abbiamo una concreta definizione.
Così io non sono diventato un astronauta, sono rimasto a terra, e questo sogno diventato un sasso, mischiato ai tanti che fluttuano nel mio cuore, ha il paradossale potere di rendermelo più leggero e mi ricorda sempre chi sono davvero.
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