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Rinuncio

Ogni anno che passa, e sono già tanti da quando sono nato, ho la tendenza a lasciare andare via sempre più cose, sempre più spesso. L’altro giorno, alcuni di voi lo ricorderanno, riflettevo scherzosamente sul minimalismo e sull’ordine delle cose ma si fa sempre più prepotente la presenza della rinuncia, dell’abbandono, del cambio di rotta. Quel minimalismo bussa all’uscio del mio cuore e suona al citofono della mia mente, quel minimalismo sta diventando concreto, vuole essere concreto. Non sono le “cose” o le “persone” che mi mancano ma è la loro assenza ciò che desidero. Voglio meno cose, voglio meno persone! Ho un disco inceppato in testa che non fa altro che ripetermi la stessa frase: “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca. Sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”. Mannaggia a Tyler Durden! Ho troppe cose e non serve a nulla dire a me stesso che ne ho nettamente meno della media dei soggetti nella mia posizione sociale; non mi bastano più queste scuse, queste prese in giro gratuite, queste leccate di dita dal barattolo della cioccolata. Mi guardo intorno e so esattamente quante cose posso dar via, so quanto ciò sia importante ed inevitabile ma affronto quest’imminente cambiamento immerso in un sentimento a volte un po’ cupo e contraddittorio. Da un lato vorrei svoltare in un colpo solo, netto, risoluto; dall’altro mi rendo conto che anni di condizionamenti sociali non sono facili da abbandonare così rapidamente e, pertanto, affronto questa curva a gomito lentamente ma senza indugi. Un po’ alla volta, mi alleggerisco. Una cosa però la devo fare: prendere un foglio di carta e segnare tutto ciò a cui non posso rinunciare e scrivergli accanto la ragione; il resto sarà ciò che potrà tranquillamente sparire dalla mia vita. Il mio obiettivo è slegarmi dalle dipendenze. All’età di 19 anni scelsi di non indossare più l’orologio e, da allora, è ancora così. Scelsi di toglierlo e di non acquistarne più nessuno e di non accettarne nemmeno come regalo perché mi sentivo come un animale al guinzaglio del tempo. Già a quell’età capii qualcosa di importante che è cresciuta progressivamente, che è maturata e che è arrivata fino ad oggi con un grado di consapevolezza molto alto. Da poco ho abbandonato tutti i social classici e mi sono buttato sulle alternative ma, devo ammetterlo, a volte penso che vorrei allontanarmi per sempre da internet e/o dagli smartphone alla stessa maniera con cui mi sono allontanato dalla televisione pochi anni fa e da quell’orologio che ha segnato l’anno zero della mia personale rivoluzione umana. Lo so che è l’uso che si fa delle cose a renderle più o meno giuste, buone, benefiche; so bene che potrei evitare di lasciare andare le cose per tenermele strette usandole (o non usandole) con più consapevolezza, ma a che serve se certune non danno alcun valore alla mia vita e, piuttosto, occupano spazi solo per riempire dei vuoti che, probabilmente, rispecchiano alcuni dei miei vuoti interiori? È per questo che non voglio più distrazioni; molte cose mi distraggono dal mio lavoro di rinascita occupando zone che devo spolverare e poi dipingere e poi riempire di esperienza più che di materia. Ho un cuore del quale non conosco la data di scadenza ma dal quale estraggo da sempre emozioni di ogni tipo.

«Nelle distrazioni e negli impegni del mondo, per quanto meditiate, non sorgerà mai la vera esperienza, e i pensieri e le emozioni vi getteranno di nuovo nell’illusione.» – tratto da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire”.

Alla fine è tutta questione di vita e di morte

Scritto e pubblicato il

da Marco Placido Stissi (alias “

“)

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