Stasera mi sento come l’onda che fugge verso la riva ma il mare la riprende fra le sue braccia; ed è inutile che io mi faccia grande e grosso, è inutile che io mi faccia spuma e che chieda aiuto al vento, è inutile pure che io mi faccia piccolo e lento, perché potrò sempre e solo sfiorare quella lingua di terra su cui vorrei approdare, su cui vorrei restare.
Su quella spiaggia perdo sempre delle piccole parti di me che spariscono inghiottite dalla terra o restano intrappolate in una grotta o vengono rapite da un secchiello per diventare acqua del fossato di un castello fatto di sabbia.
Vorrei essere amato con la stessa intensità con cui qualcuno mi osserva mentre infrango i miei sogni sugli scogli e dei frammenti che volano via ne raccoglie alcuni per nutrire i propri.
Com’è buffa la vita che mi porta a tentare la fuga dai miei abissi per sdraiarmi sulla riva, e conduce te a restare sedutə su quell’ambita terra a sognare di immergerti nelle mie profondità.
Oggi il mio mare è in tempesta, e a nulla servono le maree che questa pallida luna mi suscita, perché del tempo che avanza ne ho assaggiato solo un pezzetto; il resto è tutto ancora da vivere sul cavallo a dondolo su cui seggo che mi fa ondeggiare sempre sullo stesso posto nel mondo e che non ho ancora avuto il coraggio di spostare o di cambiare.
E così sono l’onda del mare che porta con sé relitti, vita e sale; ogni luogo su cui provo ad approdare è il simbolo di quel limite naturale che solo qualcosa di straordinario potrà mutare.
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