Poco meno di tre anni fa feci un sogno. Fu uno di quelli belli, talmente vividi e profondi da farmi desiderare di riprenderlo ogni notte da dove l’avevo lasciato. Credo di poterlo considerare un sogno indelebile; per certi versi il suo significato è diventato quasi un obiettivo o, comunque, una speranza che si avveri. Dicono, e io un po’ ci credo, che durante l’attività onirica si vive realmente quella determinata situazione in cui ci si trova: e bene, quella notte partii per un viaggio non convenzionale. Ancora oggi credo sia stato un messaggio, sia stato un sogno premonitore. Accadde che delle entità ultraterrene, fatte di luce e prive di una forma ben definita, scesero sulla Terra per portare via con sé molti esseri umani (quelli da loro considerati meritevoli). Io ero fra quelli. Sentii il mio corpo sollevarsi da terra dolcemente e, mentre mi libravo nell’aria, salendo sempre più in alto, vidi miglia di bolle semitrasparenti con dentro altri prescelti. Dedussi che anch’io mi trovassi dentro ad una bolla e, pur essendo cosciente, potevo muovermi a stento. Uscii dall’atmosfera del nostro pianeta e fui messo a sedere all’interno di una piccola navetta spaziale a forma di uovo; al suo interno non c’era alcuna strumentazione: sembrava una poltrona saldata dentro ad un guscio. La cosa meravigliosa fu che la parte superiore della navicella era totalmente trasparente e mi permise di osservare l’universo, le stelle e la Terra. Ciò che provai in quel momento è paragonabile allo stupore che si prova quando ci si trova di fronte a qualcosa di estremamente emozionante, come un bambino che vede per la prima volta il mare o la neve. Non so davvero come spiegare meglio quale fu il sentimento che mi pervase. Rimasi lì, in attesa di capire cosa sarebbe successo da lì a poco. Vidi schizzare via dalla Terra tante bolle seguite da bellissime scie bianche luminose: ognuna di esse si trasformava in una navicella, la stessa di quella in cui mi trovavo io. Rimanemmo fermi per un tempo indefinito come piccole barchette su di un oceano sconosciuto. Mi accorsi del silenzio che risuonava nello spazio; era inquietante ma lo sentivo risuonare alla stessa frequenza del battito del mio cuore. Non vidi più uscire bolle e scie luminose dal pianeta, tutto permaneva così, immobile. Poi, senza alcun preavviso, le navicelle iniziarono a schizzare via verso un punto preciso verso l’oscurità: prima una, poi un’altra, poi un’altra ancora. Quella distesa di puntini sembrava uno sciame di stelle cadenti. Le vidi partire ad una velocità indescrivibile lasciando dietro di sé un breve lampo di luce. Poi toccò a me. In un istante mi ritrovai a viaggiare per l’universo ad una velocità inimmaginabile (intuii fosse prossima alla velocità della luce): all’esterno vidi stelle, galassie, nebulose. Il mio cuore resse tutto quello stupore; sentivo solo il suono dei suoi battiti e del mio respiro. Si, respiravo, riuscivo a respirare e ciò mi stupì perché non capivo come fosse possibile. Anche in questo caso non so dire quanto tempo passò prima che la navicella arrivasse a destinazione ma, quando accadde, mi ritrovai in piedi su di una piattaforma sospesa nello spazio assieme ad un vasto gruppo di miei simili. C’erano donne, uomini, bambini, anziani, ragazzi, persone di ogni età e razza. Mi guardai intorno un po’ interdetto ma poi alzai lo sguardo e, con gli occhi sgranati, rimasi letteralmente pietrificato per ciò che si palesò di fronte a me: un immenso pianeta blu cobalto circondato da un anello azzurro che gli ruotava intorno a grande velocità. Eravamo tutti in fila verso un’apertura accanto alla quale sostavano delle creature alte, longilinee, un po’ trasparenti e leggermente luminose. Capii che ci identificavano prima di farci attraversare quell’ingresso. Vidi persone schizzare felici via verso quel pianeta spettacolare ed io non vedevo l’ora che arrivasse il mio turno. Pensai di non esserne degno, pensai che non avevo con me i miei documenti e… beh, mentre mi immersi in quelle preoccupazioni, suonò la sveglia ed il sogno si concluse così. Mi sentii parecchio confuso e rimasi a letto ad osservare il tetto leggermente illuminato dalla luce che filtrava dalla finestra. Il mio cane Sun mi osservava tenendo il suo musetto appoggiato al mio braccio; lo accarezzai ancora stordito. Approfittai di quel silenzio per imprimere bene nella mia memoria tutti i dettagli del sogno: non avrei mai voluto dimenticarlo! E così questo fu ciò che vissi quella notte o alle prime luci dell’alba (non ho mai capito quando iniziò e quanto tempo durò); non l’ho mai più vissuto nuovamente, non l’ho mai ripreso da dove l’avevo lasciato, non ho mai saputo cosa ci fosse su quel pianeta. Oggi rimane un ricordo e la speranza che quest’avventura possa trasformarsi in qualcosa di reale perché credo che il senso di ciò che ho vissuto sia che il nostro pianeta è in pericolo e che, forse, alcuni di noi saranno tratti in salvo. Di sicuro alcuni di voi mi giudicheranno stupido ma a me ciò non importa. Da allora, quando guardo il cielo notturno, spero sempre di vederli arrivare e di sentirmi trascinare via da questo folle mondo.
Un sogno che non dimenticherò mai
Scritto e pubblicato il
da Marco Placido Stissi (alias “
“)
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